domenica 12 dicembre 2010

easy jazz

Mi sono sempre chiesto, è forse possibile ballare in chiesa?
cantare si.suonare si.ma ballare?
e se la chiesa è una piccola chiesetta sconsacrata?
sabato, in una piccola chiesetta sconsacrata,
ho visto 3 coppie ballare.
ed è stato stupendo.
là dove un tempo c'era l'altare, davanti alle nicchie
vuote di santi e madonne,
hanno improvvisato passi lenti e veloci, sospiri e urla.
e le loro mani correvano veloci e lente in intonate carezze.
sabato, ho visto 3 ragazzi suonare un piano, un contrabbasso ed una batteria nell'abside di una chiesa sconsacrata,
ed il loro legame con lo strumento, il loro muoversi con esso,
la loro musica, mi hanno ricordato un armonioso ballare.
ed è stato bellissimo.

lunedì 9 novembre 2009

Anche la città era bellissima - Vol. I

Rue du Temple

C’era sempre odore di urina varcata la porta di casa, la mattina ti accoglieva come uno schiaffo a mano piena, il buongiorno di un quartiere che viveva di notte.

Ma scese quelle scale di legno e attraversato quell’andito buio e dal pavimento infossato, varcare quella porta faceva raddrizzare un po’ la schiena incurvata dalle poche ore di sonno, regalava energie che non pensavi di avere, eri a Parigi per Dio!

Il nostro portone nero, i marciapiedi stretti ed il negozio sadomaso sotto casa, il vicinato era vecchio, non era bello ma affascinante nel suo essere via di passaggio di giorno e luogo di incontro la notte.
C’erano alcune belle pasticcerie ormai diventate nostre, molti bar, c’era l’amato museo di arte moderna, c‘era un piccolo variopinto negozietto pieno di libri per bambini, piccoli giochi, matite colorate ed oggetti da collezione, dei bellissimi robot a molla.

Il padrone era un simpatico ragazzo sui trent’anni con un bellissimo sorriso e dall’inglese incerto, sicuramente più affidabile del mio.
Avrei comprato mezzo negozio, ma mi sono limitato ad un topo bianco, una matita gialla ed una trottola arcobaleno, appuntandomi all’uscita una frase scritta su di un foglio di carta attaccato alla vetrina: “if you begin incertainty, you end in doubt”.

Il quartiere è il più vecchio di Parigi, il Marais e la zona della nostra casa rifletteva tutti i suoi anni con i già citati vicoli stretti e le case che sanno di muffa al solo guardarle.
Ed forse per questo ancora più strano respirare la notte proprio in questo spazio di passato, un aria di libertà, con i bar che smettono di fare cappuccini e si colorano di viola per far da sfondo a incontri particolari, cui devo ammettere non siamo abituati venendo dal nostro piccolo mondo chiuso di qualche migliaio di anime perbeniste, ma passato l’attimo di straniamento iniziale quasi non ci si fa più caso e diventa quasi divertente rispondere a saluti improvvisati.

Il quartiere non iniziava né finiva con quella lunga via dritta e nella miriade di vicoletti che su di essa si affacciavano, avevamo da un lato la zona più turistica del museo d’arte moderna e più commerciale del forum des halles (forse già all’inizio di un'altra zona a dire il vero) e sull’altro lato rispetto a noi la bellissima place des vosges, la prima piazza reale di Parigi circondata da 4 lati di edifici antichi dai tetti azzurro scuro, forse nero, identici l’un l’altro, i cui portici ospitano oggi gallerie d’arte ed al cui centro è situato un piccolo parco dove coricarsi a leggere un libro, giocare o semplicemente riposarsi dopo una giornata in cammino come la nostra.

Non la via più bella o importante del quartiere o di tutta Parigi insomma, ma è una delle vie che probabilmente non scorderemo, perché è proprio quella via che ogni mattina ci accompagnava alla scoperta di una nuova faccia di Parigi con la sua passeggiata di 5 minuti, sino ad arrivare alla grande piazza dell’hotel de ville da cui si aprivano a noi innumerevoli altri orizzonti cittadini, quali il fiume con la sua diversa vita da mattina a sera, o attraversando quest’ultimo l’isola di Notre Dame e poi ancora poco più in là il quartiere latino.
Ma questa è un'altra storia.

giovedì 29 ottobre 2009

Buongiorno, vorrei un paio di jeans…


…buongiorno! ma certo, prego si accomodi e vediamo subito cosa abbiamo…

Tipica conversazione cliente/commesso, quella particolare persona cioè che diventa quasi sempre il tuo migliore amico una volta oltrepassata la sua porta, colui che è contento di fare qualcosa per te e non manca mai di dispensarti un sorriso, colui per cui ogni cosa ti cade a pennello e no no, è un capo che và usato stretto, lei non è per niente sovrappeso.
Ed ammettiamolo, fa (quasi) sempre piacere che sia così, un rapporto fatto di sorrisi e consensi, a chi non piace, anche se instaurato con uno sconosciuto.

Unica particolarità del rapporto, la suddetta porta.
Perché si, una volta varcata nuovamente quella porta ma in senso contrario, ecco che torni ad essere uno dei tanti, e viene consumato il tradimento supremo, la persona che incroci su quella porta diventa a sua volta lei la migliore amica del commesso.
E non c’è niente di male in tutto questo, è il senso naturale delle cose, un rapporto di circostanza,
direi quasi a progetto.

Ma quando invece i panni del commesso vengono indossati da una persona conosciuta, una persona cara, allora come bisogna comportarsi?
Quando cioè con una persona con la quale si pensava di avere un certo tipo di rapporto, di comunicazione, si passa ad un rapporto fatto di sorrisi in realtà vuoti ed a parlare del tempo atmosferico (un po’ il segno che hai passato la porta del commesso), piove governo ladro, cosa è giusto fare?

Rincorrere lo spettro del rapporto passato e cercare di recuperarlo, forse rassegnarsi al rapporto meteorologico attuale e conviverci, o forse ancora lasciare morire quel rapporto, perché se raffrontato al vecchio rapporto sarebbe solo un peso?

Non ne ho idea, l’unica cosa che so è che personalmente odio parlare del tempo.
Ed oggi piove.

mercoledì 14 ottobre 2009

L'imprevisto imprevedibile



è quello che ti lascia anche solo un istante con il respiro corto per la sorpresa, quel breve attimo di sospensione in cui realizzi che qualcosa sta accadendo e ti chiedi se saprai affrontarla.

A volte sono positivi, come quando dopo tanto cercare il lavoro o la persona della tua vita, hai perso la speranza ed all'improvviso ecco l'occasione della vita.

A volte sono negativi e la persona o il lavoro della vita li perdi anche solo per 4 gocce di pioggia in più.

A volte sono imprevisti e basta, che non puoi catalogare nell'uno o nell'altro modo se non col tempo, come quando realizzi in un solo preciso istante che la persona della tua vita (ad essere pessimisti, o forse meglio, realisti, del bimestre) è quella che conosci da una vita e che non hai mai guardato con gli occhi giusti, e non hai idea di dove questo nuovo vedere ti porterà.
Se sei Me inevitabimente verso un disastro, ma questo è un altro discorso.

I migliori?sicuramente i primi.
I più divertenti?gli ultimi, a meno che non si svelino essere troppo dei secondi.

Anche questa pagina e questo vaneggio può essere inquadrato tra gli ultimi, perchè benchè in effetti frutto anche di un dialogo ormai semestrale con D. (che non sta per Dio), sono il frutto estemporaneo di alcune riflessioni basate su un imprevisto imprevedibile negativo a me da poco capitato, e di uno positivo capitato poche ore dopo ad un carissimo amico.
Su entrambi per fortuna ora sorridiamo abbondantemente.

Ed è così che mi piace pensare a questo spazio, come ad un qualcosa di casuale dettato dal momento, non previsto, non ragionato o almeno non a lungo, e se mi piacerà bene, saran imprevisti positivi, se non mi piacerà amen, bene uguale.

and so it goes, all the best.